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GÖSTA BERLINGS SAGA Glue works Cuneiform Records 2011 SVE

Non è un semplice lavoro di colla quello dei Gösta Berlings Saga. Non basta saper incollare fra loro le varie parti per fare un album così ma occorre anche impastare con cura suoni, idee e riferimenti musicali in maniera tale che formino un insieme compatto e piacevole. Più che un disco di canzoni questa è una raccolta di paesaggi strumentali in cui far sprofondare i propri pensieri per meditare, estraniarsi o cercare un’altra dimensione. I Gösta Berlings Saga amano indugiare sui temi musicali, espanderli gradualmente, avvolgerli in loop e accompagnarli a poco a poco alla deriva. L’opportunità di avvalersi di una etichetta esperta e di un bravo produttore come Mattias Olsson (Änglagård, White Willow) sicuramente ha avuto la sua importanza.
Mentre i lavori precedenti presentavano un impatto più garage e istintivo, questo terzo lavoro, che si dimostra comunque figlio dei due vecchi album, presenta forse un maggiore grado di maturità e riflessività, idee meglio sviluppate e ponderate, ma soprattutto sfoggia una cura particolare nella scelta dei timbri sonori, sia di quelli più ruvidi che di quelli vellutati che si mescolano piacevolmente insieme. Oltre agli strumenti del quartetto di base, formato da Gabriel Hermansson al basso, da Einar Baldursson alla chitarra, da Alexander Skepp alla batteria e da David Lundberg con le sue tastiere (Fender Rhodes, Mellotron e vari altri sintetizzatori), se ne aggiungono tanti altri suonati da un gruppo ben assortito di ospiti: Fredrik Carlzon al corno francese e alla tromba, Cecilia Linné al violoncello, Leo Svensson alla sega musicale e Ulf Åkerstedt alla tuba, alla tromba (basso e contrabbasso) e all’armonica. Questo arricchimento strumentale porta a un pannello sonoro molto più vario che in passato, con una possibilità di scelta timbrica nettamente superiore che si traduce in un sound decisamente più intrigante ed efficace. Sono sempre presenti i riferimenti al Progg svedese degli anni Settanta, fra cui mi piace citare Träd Gräs Och Stenar, Kebnekaise, Bo Hansson e per certi aspetti, soprattutto riguardo certe ambientazioni tetre e claustrofobiche, anche Anna Själv Tredje, ma tutti sono incamerati in un modo di suonare modernizzato e personale in cui si fondono elementi elettronici, fumi psichedelici, frammenti orchestrali e qualche accento jazz. Un ruolo importante è giocato dalle bellissime sequenze tastieristiche, con belle parti di Mellotron, a volte molto imponenti (ascoltate per esempio “Icosahedron”) ed un Fender Rhodes davvero ipnotico. Le trame di tastiere si diluiscono comunque nell’impasto musicale, senza mai prendere il sopravvento sugli altri strumenti ma insinuandosi fra di loro. Molto simpatica la trovata di usare la sega musicale, il cui suono sembra quello di uno spettro: la potete sentire in azione per esempio in “Island” che si agita mentre il violoncello inizia ad intonare un motivo malinconico. Più tardi questa si intreccia agli strumenti elettrici creando un groove davvero irresistibile. La sinistra “Geosignal” fa volare il pensiero a Lars Hollmer mentre altri riferimenti tangibili li possiamo trovare verso VdGG e King Crimson, come nella conclusiva “Sorterangatan”, oscura e drammatica nel suo lento incedere.
Gli elementi da analizzare sono davvero tanti, e non ho neanche fatto accenno alla agile sezione ritmica che non soffoca mai la musica ma ne esalta le caratteristiche immaginifiche, spingendo però al punto giusto quando serve. Quello che mi preme sottolineare è che si tratta di un album molto compatto, senza alti e bassi, in cui i singoli particolari possono addirittura sfuggire se ci si distrae mentre la musica scorre e ci si smarrisce fra i mille loop ipnotizzanti. Questo non è assolutamente un male, vuol soltanto dire che potrete naufragare dolcemente in questo mare oppure soffermarvi sui dettagli, se vi va, che ci sono e sono tanti. Un disco con cui si deve entrare prima di tutto in sintonia, da sentire sulla propria pelle come una maglietta stretta, da amare in maniera irrazionale.


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Jessica Attene

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