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CITIZEN CAIN Skies darken Festival Music 2012 UK

Ecco un gruppo che vale la pena ricordare più per le sue vicende biografiche che per il suo valore artistico! I Citizen Cain non solo sono una band longeva ma hanno avuto anche delle vicende non sempre fortunatissime. Vale quindi la pena fare un piccolo riassunto delle puntate precedenti: nati a Londra nel 1982 si sciolgono, dopo un solo demo-tape e una partecipazione ad una compilation, nel 1988 in seguito ad un incidente che costrinse Cyrus ad abbandonare il basso e a tornarsene in Scozia, la sua terra di origine. Nel 1991 il gruppo viene rispolverato grazie allo stesso Cyrus, che a questo punto si limita a cantare, e al giovanissimo tastierista Stewart Bell che assieme rappresentano il nucleo del nuovo corso storico. L’album “Serpents In Camouflage” paga il fio ad una forte dipendenza dal modello dei Genesis, complice anche il cantato di Cyrus che è smaccatamente Gabrielliano. L’album trasuda sincerità e passione, cosa che all’epoca lo fece apprezzare a molti, ma anche molta approssimazione, di cui gli stessi musicisti erano pienamente consapevoli. I nuovi lavori si scrollano di dosso il retaggio Genesisiano ma la qualità non ne risente in maniera troppo positiva. “Ghost Dance” del 1996 è la riedizione di vecchio materiale e col nuovo "Rising the Storm" del 1997 Cyrus torna miracolosamente a suonare il basso. Nel frattempo, per il fallimento della SI music, si registra lo spostamento sulla Cyclops. Bisogna poi aspettare il 2002 per "Playing Dead", album che fa registrare un sensibile miglioramento compositivo.
Il problema del gruppo, che è sempre stato essenzialmente di estrazione new prog, era quello di ricercare a tutti i costi soluzioni intricate che però non sembravano mai arrivare al punto, con un esito decisamente confusionario, peggiorato da esecuzioni non sempre precise. A questo punto inizia la proverbiale “novella dello stento” (quella che dura tanto tempo, per chi non la conosce) e il nuovo album, annunciato e promesso anni or sono, esce solo nel 2012. La cosa buffa è che, dopo tante promesse e tanta acqua passata sotto i ponti, in pochi in realtà si sono effettivamente accorti di questa uscita! Immagino che i vecchi fans abbiano perso ormai la speranza o se ne siano proprio dimenticati!
Adesso vediamo se valeva la pena aspettare tanto. Prima di tutto notiamo che la line-up è immutata rispetto a 10 anni prima con Cyrus, ormai anzianotto, alla voce e al basso, Stewart Bell alle tastiere e alla batteria e il più giovane Phil Allen alla chitarra e ai cori. Dal punto di vista compositivo troviamo brani abbastanza attorcigliati ma comunque non inconcludenti e forse gli spartiti, presi in senso assoluto, sono la cosa più apprezzabile. Bisogna poi dire che le canzoni sono tendenzialmente lunghe, con più occasioni quindi per allungare il brodo e rimanere quindi imbrigliati nelle proprie stesse maglie musicali. La voce Gabrielliana di Cyrus è sempre là ed è certamente molto più accattivante rispetto alle linee di basso, strumento che non viene certamente suonato con virtuosismo ma in modo appena appena sufficiente a tenere il ritmo. La cosa con cui bisogna fare i conti in effetti è quel sound low-fi che ricorda un po’ i demo-tape degli anni Ottanta, pieni di passione, è vero, ma anche di ingenuità clamorose. Il suono delle tastiere in particolare non è vintage ma decisamente vecchio e poco brillante. E poi c’è la batteria: anche se non viene specificato, mi ci gioco l’ultimo CD di Neal Morse che trattasi di autentica drum-machine. Il suono è infatti troppo stereotipato e anche gli schemi ritmici sono così poco spontanei e macchinosi da risultare come una specie di spina nel fianco che fa procedere le canzoni in maniera poco dinamica. Le parti di chitarra sono quelle che forse assolvo appieno, non pesanti né invadenti ma corpose a sufficienza; tornando alle tastiere, il disegno delle melodie è sufficientemente bello ma la forma è molto carente e la sensazione finale è quella di un disco amatoriale e un po’ sciatto, nonostante le indubbie qualità che malgrado tutto emergono. Vista l’anagrafica della band e la sua tendenza a sfruttare lunghi tempi per la pubblicazione di un album, dispero che questo lavoro possa avere un seguito che mostri l’evoluzione del gruppo e la correzione definitiva dei tanti difetti. La statistica insomma non è dalla parte dei Citizen Cain, anche se qualsiasi sorpresa positiva ovviamente è sempre bene accetta.


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Jessica Attene

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