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CITIZEN CAIN’S STEWART BELL The antechamber of being (part 2) - Stories from the antechamber autoprod./F2 Music 2017 UK

Dopo la separazione con Cyrus, lo storico fondatore dei Citizen Cain, il tastierista Stewart Bell, che era entrato giovanissimo nel gruppo e che ormai ne era divenuto la principale mente creativa, ha deciso di mettersi per conto suo, non rinunciando però del tutto al nome del vecchio gruppo. Il suo album solista d’esordio, uscito nel 2015, rappresentava la prima parte di una trilogia della quale adesso siamo a parlare della seconda parte. Come nella prima parte, Stewart è accompagnato dal chitarrista già dei Citizen Cain, Phil Allen, nonché dal contributo vocale niente meno che di Simone Rossetti dei The Watch e da Arjen Anthony Lucassen; in questo capitolo c’è anche la presenza di una voce femminile, nella persona di Bekah Mhairi Comrie. Non c’è batterista poiché, così come avveniva nei Citizen Cain, abbiamo una batteria programmata…
L’album prosegue nella narrazione delle vicende oniriche, legate ad esperienze personali dello stesso Stewart, dei due personaggi principali, The Dreamer e The Teacher, che abbiamo cominciato a conoscere nella prima parte e di cui non starò a dilungarmi nella descrizione. L’album in oggetto si compone di 5 suite, della durata compresa tra i 9 e i 16 minuti, l’ultima delle quali tuttavia pare non far parte della vicenda della trilogia.
La voce di Simone, che è quella predominante nel corso dell’album, è in gran forma ed espressiva come sempre. Qualcuno forse ricorderà come, anni fa, ci fosse una sorta di gioco scherzoso su quale voce, in ambito Prog, si avvicinasse di più alle timbriche di Peter Gabriel; il primo posto in questa speciale classifica se la giocavano proprio Cyrus dei Citizen Cain e Simone Rossetti; nessuno stupore quindi sulla scelta che Stewart ha effettuato per trovare la voce per i suoi nuovi lavori solisti.
C’è da dire che, cercando di tornare indietro con la mente ai lavori dei Citizen Cain, la musica e i suoni di questo lavoro appaiono senz’altro più convincenti, meglio strutturati e dalle consequenzialità certamente più curate. I suoni escono in modo piacevole e le lunghe composizioni riescono a non perdersi nei meandri dei proprio intrichi, come avveniva talvolta in passato, mantenendo una sequenza dei temi musicali ben costruita e facilmente percorribile dall’ascoltatore. Le sonorità sono abbastanza sbilanciate sul New Prog ovviamente, con sentori di Genesis, Yes e quant’altro, ma dai suoni talvolta abbastanza energici e comunque solo superficialmente affette dalla eccessiva derivatività del vecchio gruppo.
L’album, per sua stessa natura, ha anche un vago sapore di opera rock, anche se non ci sono grandi variazioni di temi ed atmosfere. La suite iniziale, “Early Days”, è quella che preferisco, assieme alla successiva “Time Dilation”. Non convincono del tutto invece i 15 minuti di “Intervention”, un po’ troppo vacui e dispersivi, rischio che si sfiora anche nella successiva “The Probability of Improbability”, con risultati però migliori, a mio giudizio. La conclusiva “The Cupboard of Fear”, come accennato, è indicata come bonus track, umoralmente in effetti un po’ avulsa dalle altre, dopo la conclusione effettiva dell’album avvenuta nella traccia precedente, ma comunque apprezzabile.
Una piacevole alternativa, questo album solista di Stewart, se amate tali sonorità Prog. Un’ora, o poco più, ben impiegate.



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Alberto Nucci

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