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Il nuovo disco dei Magma conclude un’attesa che andava avanti praticamente da quaranta anni. Sì, perché fu nel 1979 che questa composizione venne eseguita per la prima volta dal vivo (anche se una prima bozza esisteva già dal 1977), ma fino ad oggi non aveva mai visto una realizzazione in studio. Un ampio estratto era già disponibile sul live “Bobino concert 1981” e su uno dei DVD della serie “Mythes et legendes” a testimonianza dei concerti al Triton del 2005, mentre uno più breve e prevalentemente acustico e vocale era presente su “Les Voix concert 1992”. Solo nel 2019 arriva la tanto agognata versione definitiva, a festeggiare, tra l’altro, il cinquantesimo anniversario della creatura di Christian Vander. Il perfezionismo del leader ha fatto sì che per decenni si protraesse l’impegno per portare a conclusione un’opera che, si sapeva già, riveste un ruolo importantissimo nella storia dei Magma. Vander è impegnato stavolta alle sole parti vocali, rinunciando, come già avvenuto nelle performance in concerto, alla batteria che viene affidata al funambolico svedese Morgan Agren. Simon Goubert è impegnato con le parti di pianoforte. Confermatissimo Philippe Bussonet al basso, troviamo poi Rudy Blas alla chitarra, mentre l’inseparabile Stella Vander, al canto e ai cori, è coadiuvata, oltre che da Isabelle Feuillebois e Hervé Aknin, da anni nel gruppo, anche da altri 5 vocalist. Ciliegina sulla torta la presenza dell’Orchestra Filarmonica della Città di Praga (direzione affidata ad Adam Klemens, mentre delle orchestrazioni si è occupato Rémi Dumoulin). La confezione del cd è molto curata, con un cartonato rigido e 42 pagine ricche di foto, testi e informazioni, comprendenti la spiegazione del concept, in francese e in inglese. In un secondo momento è stato anche pubblicato un vinile colorato a tiratura limitata. Per i fan più attenti che avevano già ascoltato “Zess” nelle versioni live finora disponibili non sarà certo una sorpresa trovarsi di fronte una delle composizioni in cui più vengono a galla tante delle caratteristiche della musica zeuhl: la tensione trasmessa fin dall’inizio con i cori femminili misteriosi, il ritmo ossessivo e ipnotico dettato da piano, basso e batteria, l’invocazione recitata da Vander in francese, l’asperità dell’idioma kobaiano, gli scat vocali, gli elementi sonori cari a Bartok, Orff e Wagner, la sempre presente ispirazione coltraniana, la chitarra molto nascosta, ma che fa un lavoro magistrale quando interviene, le aperture sinfoniche, l’indirizzo gospel nel finale. Forse con quest’opera si tocca il culmine delle reiterazioni di temi, basti pensare al riff di piano dopo la parte atmosferica iniziale, al pattern di batteria conseguente che subisce solo pochissime variazioni, a certi passaggi cantati ripetuti continuamente. La struttura della composizione fondamentalmente non cambia rispetto alle versioni già note. Vander non stravolge nulla, lavorando più che altro su piccoli particolari, facendo attenzione agli aspetti timbrici, alle dinamiche, agli equilibri, alle rifiniture, ai dettagli che rendono “Zess” un’opera unica, sebbene divisa in sette tracce. La presenza dell’orchestra, che in pratica sostituisce i fiati rispetto al passato, “ingentilisce” un po’ quei momenti in cui si fa maggiore spazio e questo forse è l’aspetto più a sorpresa che potrà far discutere. Al punto che forse chi conosceva già bene la composizione, troverà paradossalmente meno immediato l’album e avrà bisogno di più ascolti per cogliere le differenze rispetto al passato e per capire quale versione è preferibile. Restano quasi 38 minuti di purissimo zeuhl, potente, visionario, intenso, tagliente, che mai come in questa occasione, forse, mostra i suoi volti apparentemente antitetici, attraverso un viaggio sonoro tra ombre e luminosità, sofferenza e gioia, inferno e paradiso. È la musica zeuhl dei padri fondatori di questo genere a molti ostico. Prendere o lasciare. È l’ennesimo lavoro di qualità eccelsa in una discografia con picchi pazzeschi anche negli ultimi venti anni. È una leggenda che continua.
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