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NODO GORDIANO H.E.X. Lizard Records 2021 ITA

Eccolo il sesto album della band romana fondata nel 1994 dal polistrumentista Andrea De Luca (impegnato su quest’album al basso, chitarra elettrica ed acustica, sintetizzatori, sampler). Una pubblicazione che avviene dopo appena un anno dal precedente lavoro; un fatto da riportare, visto che in genere tra un’uscita e l’altra sono sempre passati tempi decisamente più lunghi. E poi, altro elemento da rimarcare, la formazione è rimasta praticamente identica, con l’eccezione della cantante Natalia Suvorina, qui assente, in quanto l’uscita presa in esame prevede solo musica strumentale. Quindi, assieme a De Luca, confermatissimi Davide Guidoni (tastiere, campionatori, percussioni acustiche ed elettriche) e Filippo Brilli con tutta la sua schiera di sassofoni. Strumento, quest’ultimo, che nel gruppo è mancato solo in alcuni periodi, a dimostrazione che si tratta di una connotazione abbastanza distintiva, indipendentemente da chi possa di volta in volta suonarlo.
Come da nome, l’ensemble capitolino si dimostra sempre come qualcosa di inestricabile, necessitando poi di un intervento drastico affinché se ne possa venire a capo. La proposta si va sempre rinnovando pur mantenendo elementi identificativi della band, superando precedenti schemi e quindi “progredendo” nel senso primario del termine, cioè mettendo in musica tramite soluzioni originali – che possono andare dal jazz alla classica, passando per l’elettronica – la visione scaturita dal proprio mondo interiore. Già il titolo è molto particolare, acronimo di Hic Erant Xoana, mutuato probabilmente dal titolo latino “Hinc erant leones” dell’opera di Leonardo Tartaglia. Qui c’erano Xoana, quindi, dove Xoana sta per antiche statuette intagliate nel legno. Senza volersi addentrare troppo – perché sennò la recensione online non la leggerà davvero più nessuno –, questa nuova uscita si dimostra incentrata sul Libro dei Mutamenti, I Ching, in cui si ottengono vari esagrammi lanciando tre monetine e quindi relativi responsi come sentenza (da interpretare, da oracolo quale effettivamente è) a specifici interrogativi personali. Elementi che possono essere identificati nel fronte/retro della copertina, componendo l’intero lavoro di due soli brani, lunghi entrambi ventisei minuti esatti. Sarà un caso, ma le due parti di “Shine on you crazy diamond” dei Pink Floyd, sommate, arrivano proprio a ventisei minuti. La band di Roger Waters potrebbe essere qui presa anche come punto di riferimento, nella sua versione però di ricerca “sperimentale”, anche se determinati momenti riportano alle lunghe suite presenti su “Ricochet” dei Tangerine Dream.
Il primo pezzo è “Heng”, esagramma n. 32, La Durata, formato a sua volta da due trigrammi: l’Eccitante, il tuono (Chen) e il Mite, il vento (Sun). Una condizione in cui il moto non si dissolve con gli ostacoli; non è uno stato di quiete, perché sostare vorrebbe dire regredire, quindi è un respiro che va verso l’esterno seguendo leggi fisse. Così, l’acqua che scorre apre la composizione (lo scorrere inesorabile del moto), seguita da suoni ambientali con sequenze nello stile dei succitati Tangerine Dream, su cui i sintetizzatori cominciano a tessere le proprie trame, prima che il sassofono esploda di colpo e faccia partire subito in quarta il pezzo come l’esagramma richiede. Un approccio molto psichedelico, per brevi tratti ai limiti del free-jazz, sicuramente vicinissimo ai Van der Graaf Generator, in special modo alle partiture di “Man-erg”, dove il caos veniva scomposto e ricomposto a proprio piacimento in strutture funzionali al brano. Dopo, ecco un altro busco passaggio, stavolta rituffandosi nella stasi elettronica. Lunghe increspature nell’unicum spazio-temporale, in cui poi emerge nuovamente il sax, che si fa letteralmente largo tra i campionamenti ed i sintetizzatori, grazie anche ad un lavoro complesso della batteria che apre a sua volta la strada alla chitarra elettrica, capace di fondersi con gli altri suoni. Le soluzioni scelte portano ancora a momenti di quiete, dove continuano a serpeggiare nell’acqua le linee misteriose ed insinuanti dei sintetizzatori, anticipo dell’ulteriore sfogo ai fiati, sempre più vibranti e fantasiosi. Ma poco dopo il quarto d’ora, il brusco cambiamento evidenzia chiaramente le gradazioni del color Cremisi, con i controtempi e le dissonanze tipiche della creatura di Mr. Robert Fripp. Tutto questo, prima che si ritorni alla quiete complessa dettata dall’elettronica.
Note di chitarra acustica aprono “Kou”, esagramma n. 44, Il Farsi incontro, formato dal Creativo, il cielo (Ch’ien) e curiosamente ancora una volta da Sun, il Vento. Contrariamente a quanto si possa pensare, questo non è un segno propizio. Allude al periodo estivo in cui si è superato il solstizio d’estate e quindi l’oscurità sta pian piano facendo ritorno. Il Principio oscuro, che si credeva eliminato, fa ritorno e subdolamente si manifesta sotto la metafora di una ragazza insolente che si don facilmente ma che in realtà non permette di andare avanti, creando situazioni per nulla felici. Una descrizione necessaria per comprendere un lungo brano difficile da assimilare, introdotto dal suono dello scaccia demoni a cui immediatamente seguono le succitate note di chitarra acustica. Pian piano emergono effetti ed altre note ripetute sulle tastiere. È una sorta di oblio, di eterno purgatorio che si protrae ancora e ancora, per tanti, interminabili minuti. Qui, il concetto di “musica sperimentale” trova concreta espressione e – per farla breve – tra effettistica e rumorismi vari dura fino al nono minuto, dove finalmente il sax torna a far sentire la propria voce aspra ed abrasiva. Qualche piccolo accenno ai King Crimson, ma il vero riferimento è ancora una volta quello dei Van der Graaf Generator, assieme al dark sound tipico di alcune realtà italiche. Un excursus davvero molto affascinante, che dura fino al quattordicesimo minuto, quando cioè ci si immette nuovamente nello sperimentalismo tendente al minimale, trascinandosi per altri lunghi dodici minuti. Certo, riascoltandolo, in quello che sembra un vuoto cosmico si ode la lontana eco di una chitarra; anche questo comincia ad assumere un suo profondo significato, alla luce di quanto riassunto prima. Momenti in cui occorrerebbe chiudere gli occhi e vedere in quali territori porta di volta in volta la mente.
L’album volge al termine e con esso si chiude anche questa recensione. I Nodo Gordiano tornano con due album di fila su Lizard Records, dopo l’esordio omonimo del 1999. Segno di ulteriore stabilità, fondata comunque sulla continua ricerca di soluzioni originali. La lettura di un libro profondo come quello dei Mutamenti è sicuramente una di queste, che come detto tra le righe dà un senso ancora più profondo alla musica proposta. E chissà che dopo tante congetture, quel numero 26 che sta alla base del minutaggio di entrambi i brani sia riferito al relativo esagramma, Ta Ch’u – La Forza domatrice del grande, in cui è propizia la perseveranza e quindi l’attraversamento della grande acqua.



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Michele Merenda

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