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In effetti, nonostante la lunghissima carriera, iniziata con i Magma, nel lontano 1973, per Jannick Top questo “Infernal Machina” è solo il secondo lavoro in studio dopo lo splendido “Soleil d’Ork” del 2001, che raccoglieva parte delle sue esperienze e delle sue visioni musicali degli anni ’70. Ma, se analizziamo i fatti, questa lunghissima suite è la sua composizione per eccellenza e per questo ha voluto accanto la crema dello Zeuhl, dal batterista Christian Vander, colui che di Zeuhl ebbe l’intuizione originale, a Klaus Blasquiz, vocalist dei Magma storici, Stella Vander sempre alle voci, James Mac Gaw alle chitarre e un nutritissimo gruppo di vocalist e strumentisti di altissimo livello tecnico più o meno noti.
Il disco si sviluppa, come detto, in un’unica lunga suite di oltre 55 minuti, suddivisa in 12 parti concatenate senza soluzione di continuità, anzi è particolare come lo stacco previsto dal CD, non corrisponda quasi mai ad una reale variazione tematica, che talvolta arriva, invece, a traccia già iniziata. Nella musica c’è una grande conferma di ciò che è l’intenzione prima dello Zeuhl, quel suo senso di grande appagamento spirituale, quell’emissione di energia arcana che supera la barriera terrestre per finire, come un raggio di luce, negli spazi stellari più eteri. Questo viaggio non è semplice, spesso è un contorcimento che richiede concentrazione, desiderio, attenzione e le lande che ospitano questa musica non sempre hanno sentieri tracciati e visibili: zone oscure di fitta e intricata boscaglia musicale si alternano a spazi aperti e terre desolate. Desolazioni riempite da vocalizzi, che come urla penetrano l’anima per attraversarla, impregnarla e appagarla, non senza averla prima infettata e angosciata, ma libera, finalmente, nel sidereo nulla.
A tratti chitarre metalliche riempiono gli spazi lasciati dall’esemplare lavoro sviluppato da basso e batteria che non sempre è limitato a pura sezione ritmica. Fantastico il lavoro di Fabien Colella alle tastiere, ideale ambientazione delle terre sopra descritte e ancor più quello di Mathias Lecomte al grand piano, che nelle “Part VII” e “Part IX” raggiunge livelli stratosferici. Parlando di lavoro eccelso non si possono non citare le parti di violoncello, curate dallo stesso Top, che specie nella parte I assumono un’incredibile capacità di penetrazione e i vocalizzi di Blasquiz, riconoscibili tra un milione, ben in risalto nella “Part IV”.
Voglio citare anche la “Part V” perché dà modo di ascoltare la particolarissima tecnica di basso dell’autore e la sua incredibile capacità di cambiare tempo d’esecuzione, con sequenze di note a grappolo, solo apparentemente distanti dal tempo principale, per poi reinserirsi alla perfezione nel binario principale, giochino non facile e non particolarmente orecchiabile, ma di certo straordinario. E ancora la “Part VI” per i sublimi e spaziali intrecci di chitarre.
Mi viene in mente un parallelismo geometrico con una figura poco nota, il paraboloide iperbolico, nato dalla traslazione di una parabola convessa su una curva parabolica concava. Una roba piuttosto complessa e infernale, proprio come il lavoro che stiamo trattando. Il fatto è che la figura citata, pur incredibilmente complessa nella sua trattazione e nella sua esposizione teorica, quando la si vede risulta così appagante per l’occhio, da far distaccare completamente quello che è teoria e quello che è realtà. Lo stesso è per il disco di Top, che nonostante le sue forme complesse e infernali, una volta preso nella sua realtà e individuato il suo piano di lettura, risulta totalmente appagante per l’orecchio. Non stiamo ovviamente parlando di Sectio Aurea, questo disco rimane comunque una faccenda destinata a certi orecchi, ma che disco! Azzarderò, ma credo che questo sia uno dei migliori dischi Zeuhl di sempre e quindi appassionati del genere siete avvisati.
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