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Il ritorno delle “Fila Fiammeggianti” tedesche di Martin Schnella è segnato ancora una volta dalle effigi di un complesso concept album, che stavolta si divide addirittura in una trilogia. In maniera consona alle uscite della connazionale etichetta PPR, Schnella elabora la storia lungo le complesse note di un prog-metal melodico e potente, sempre perfettamente prodotto, che parla dell’universo e delle forze che lo controllano, concentrandosi in particolar modo sul pianeta Terra in guerra (ma guarda un po’!), la cui specie umana viene controllata da una figura chiamata “Magistrate”. Si parla di tempeste solari destinate a distruggere la vita, ma anche di quei pochissimi sopravvissuti che lottano tenacemente per salvare la propria razza. E forse le intenzioni del “Magistrate” non erano esattamente quelle benevole che aveva lasciato intendere all’inizio… Chissà? Di certo, il polistrumentista Schnella ci ha dato dentro con l’impegno ed oltre a basso, tastiere e percussioni si è cimentato anche nella maggior parte degli assoli di chitarra. Forse l’album suona meno melodico dell’esordio datato 2011, però è sicuramente più compatto, più maturo (anche se il precedente non era affatto da buttare, anzi) e presenta una quantità notevole di sorprese all’interno di ciascun pezzo, contraddistinte spesso da mutamenti improvvisi. Sempre supportato dal nucleo dei Flaming Row – che vede la brava Kiri Geile alla voce, Niklas Kahli alla batteria e Marek Arnold alle tastiere e al sax –, Schnella continua con l’impegno di chiamare a sé numerosi ospiti, soprattutto cantanti che incarnino i vari personaggi della storia, capaci così di dare autentiche sfumature differenti ad ogni singolo passaggio. Diciamo che il risultato è apprezzabile ed in buona parte riuscito, anche se sorge la curiosità di poter un giorno constatare cosa siano in grado di fare i nostri qualora dovessero basarsi solo ed esclusivamente sulle proprie forze. Perché soprattutto la Geile lascia intravedere delle ottime potenzialità che andrebbero maggiormente sfruttate. Come detto Schnella suona la maggior parte degli assoli, anche se sono presenti ancora una volta i due Shadow Gallery Gary Werkhamp e Brendt Allman (spaventoso quest’ultimo nelle sue sporadiche partiture!) a dare il proprio amichevole contributo. Il progetto ricorda molto quelli portati avanti dall’olandese Arjen Anthony Lucassen – anche lui presente con un (invero breve) assolo che contribuisce alla causa – con i suoi Ayreon e Space One, anche se i Flaming Row hanno saputo dimostrare fin dall’inizio di saper camminare con le proprie gambe e che gli esempi altrui sono più che altro serviti come spunto per cominciare l’elaborazione delle proprie composizioni. La loro musica, rispetto ad altri colleghi di scuderia, si avvicina maggiormente al concetto classico di prog; c’è infatti elaborazione, tentativo di andare “oltre” e di non fossilizzarsi sui soliti collaudati schemi. A ciò bisogna anche abbinare la volontà di piacere a chi ascolta. Se ci si riesce o meno, dipende anche dalla tipologia di ascoltatore stesso. In tutto questo si inserisce un pezzo come “Alcatraz”, un po’ blues e (soprattutto) un po’ funky, davvero ben cantato e con un buon dialogo chitarristico tra Schnella e l’altro ospite Ole Rausch. Ancora più funky è la precedente “Journey to the afterlife”, divisa in due parti, la cui prima sezione ha il gran lavoro al basso di Lars Lehmann, anche se poi diventa fin troppo facilona; la seconda parte, però, riprende il tema drammatico-sinfonico, fino a culminare con il lungo assolo contorto e distorto al synth di Diego Tejeda. Ci sono poi le lunghe suite messe all’inizio e alla fine (rispettivamente sedici e diciotto minuti), oltre ad alcune trovate tendenti al celtico sparse qua e là, come in “Aim L45”, che contribuiscono a variare ancora di più un qualcosa che suona nel suo insieme come abbastanza complesso, assieme alla piacevolmente ottantina “Burning sky”. Attenzione, tutto questo non vuol dire che il ritorno sulle scene dei tedeschi sia chissà quale lavoro imprescindibile; affermare questo significherebbe peccare di correttezza, in primis verso la band stessa. Si tratta però di un lavoro che nel suo genere si distingue qualitativamente dai tanti gruppi a loro simili che riempiono il settore. E francamente, in seno al tipo di proposta propugnata dalla PPR, i Flaming Row sembrerebbero quelli con le idee più convincenti.
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