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LEAP DAY Treehouse Oskar Records 2021 NL

Dopo tre stroncature di fila da me rifilate ai primi tre album di questa sorta di supergruppo con membri dei Flamborough Head (il cantante Eddie Mulder ed il batterista Koen Roozen), avevo deciso di prendermi una pausa. Sono trascorsi così altri due album “From the Days of Deucalion - Chapter 2” (2015) e “Timelapse” (2018) prima di giungere a questa “casa sull’albero”. Cosa mi ha riportato a questa melensa band olandese? Soprattutto la notizia della sostituzione di Jos Harteveld, col gruppo fin dall’inizio, con un nuovo cantante che risponde al nome di Hans Kuypers. Anche lo storico bassista Peter Stel è stato sostituito da un nuovo musicista, Harry Scholing, ma la vera disgrazia del gruppo era senza dubbio rappresentata dall’ugola sgraziata di Jos che fin dal lontano 2009, anno di uscita dell’esordio “Awaking the Muse”, mi auguravo venisse presto sostituita. Ed ecco che all’avverarsi del mio desiderio (meglio tardi che mai) ero proprio curiosa di sapere che fine avessero fatto i Leap Day.
Se sei un appassionato olandese di New Prog e hai suonato nei Flamborough Head è ovvio che la tua musica non possa allontanarsi troppo da quel seminato… ed è proprio così. Ma c’è New Prog e New Prog, non possiamo negarlo, e un disco ben fatto sicuramente può regalare minuti gradevoli da trascorrere con spensieratezza. L’opener “Like Icarus” mi aveva regalato piacevoli illusioni in tal senso, con le sue tastiere trionfanti (suonate sempre da Gert van Engelenburg e da Derk Evert Waalkens), i chiari riferimenti a Genesis e Marillion e le melodie ariose. Anche la voce di Hans, che ricorda un po’ Peter Gabriel (poco) e un po’ Peter Nicholls (molto di più) mi sembrava tutto sommato adeguata al mix musicale proposto. Forse il ricordo delle passate disgrazie mi ha fatto in un primo momento sopravvalutare questo album ma dopo l’impatto iniziale, fatte le dovute distinzioni rispetto ad un passato discografico non roseo, i miei entusiasmi si sono subito spenti. “Clementine” non è malaccio, soprattutto per l’ottimo lavoro della chitarra di Eddie Mulder, un vero fuoriclasse, ma “Raining”, una ballad traballante con arrangiamenti scarni, stenta molto a decollare. Il brano è più dinamico nelle parti strumentali ma la base musicale che dovrebbe sostenere il cantato in realtà risulta piuttosto debole. “May 5th” ci riporta un po’ ai Pendragon e ci offe melodie curate e sinfoniche, soprattutto nelle sequenze strumentali che rimangono quelle più valide, ma il pezzo conclusivo “Autumn” ci riporta in basso con i suoi ammiccamenti pop che sembrano talvolta fare il verso ai Police.
Dopo tutti questi anni mi rifiuto di scrivere che i Leap Day sono un gruppo promettente ma sarebbe quello che avrei detto se questo fosse stato il loro album di esordio. Senza dubbio il cantato è stato migliorato, anche se non è comunque il massimo (scriviamolo), ma rimangono grosse perplessità sul resto. Alcuni elementi chitarristici sono interessanti, alcuni spunti melodici sono gradevoli, soprattutto quando troviamo alcune orchestrazioni space, ma c’è talvolta troppa incertezza ed approssimazione negli arrangiamenti e nella strutturazione di brani poco incisivi e destinati inesorabilmente a perdersi nella giungla delle uscite musicali che inflazionano il mercato.



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Jessica Attene

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LEAP DAY Awaking the Muse 2009 
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