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KBB Proof of concept Musea 2007 JAP

Che c’è di nuovo sotto il sole? Il terzo disco in studio dei giapponesi KBB? Bene ascoltiamolo…
Il percorso di maturazione di un gruppo passa necessariamente attraverso vari episodi, pochi, proprio pochi nascono ed esplodono con il primo lavoro e spesso il gruppo si spegne prima ancora di aver raggiunto un grado di accettabile maturazione.
I KBB sono in crescendo e sanno che ormai da un gruppo di nome e qualità consolidata ci si aspetta ben di più che una dimostrazione semplice e pura delle proprie capacità strumentali. Capacità già ampiamente dimostrate sia nei lavori in studio, sia nella performance live. Quello che ora devono dimostrare è di saper comporre in maniera personale, perché i riferimenti si sentano, ma non pesino. Anche perché qui parliamo di nomi grossi, spesso geniali, menti eccelse che hanno prodotto prog-fusion-sinfonica a livelli immensi: Mahavishnu Orchestra, Jean Luc Ponty, UK. Compito difficile, tanto.
“Inner Flames” primo brano si apre con uno splendido 5/4, coinvolgente mentale, cranioso, ma anche diretto grazie al trascinante violino di Akihisa Tsuboy, un talento di gran classe.”Weigh Anchor!” è sempre, per la maggior parte, giocata su tempi dispari, ma è più pacata, meno esplosiva, ma non meno coinvolgente. “Stratosphere” è un girello jazz-prog in odore Mahavishnu, con un crescendo di impressionante forza dirompente con tematiche di basso molto Jeff Berlin. “Intermezzo” è un esercizio violinistico da brivido melodico che ci rimanda al Ponty di fine anni ’70. “Rice Planting Song” è una furiosa e circense rincorsa di strumenti, violino quasi folk, ritmica e organo giocati sulla sincope di un 7/8 furibondo e quasi irriconoscibile. “Lagoon Nebula” è il masterpiece del disco, massiccio, ridondante, strabordante, impossibile da seguire la prima volta per la incredibile varietà di temi trattati, ma quando si dipana ne viene fuori un pezzo persino con la sua melodia centrata. Con “Forty Degrees” torniamo a temi più jazzy. Basso da meraviglie. “Order From Chaos” chiude con ciò che non ti aspetti. Per fare fede al titolo ci presenta prima il Chaos con un organo in 4/4 che fa da tappeto aritmico, sempre con le stesse note dello stesso accordo, al resto degli strumenti che si muovono in palindromo zappiano 6/8 - 7/8 – 8/8 – 9/8 – 8/8 – 7/8 – 6/8 (aiuto, ora mi perdo). Nel finale il brano si rilassa in un jazz-rock di classe ma molto più lineare: è finalmente Order.
Questo è quello che si deve aspettare l’ascoltatore. Il mio giudizio, assolutamente positivo, è rivolto al complesso del disco, tenendo presente di aver di fronte un lavoro che è tutto un equilibrismo giocato su una corda sottile, sottile, ma tesa a poca distanza dal terreno: difficile ma poco rischioso.

 

Roberto Vanali

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