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Martin Schnella è un nome che dovrebbe dire qualcosa a chi segue la scena tedesca, vista la sua presenza in alcuni dischi di Seven Steps To The Green Door, Frequency Drift, Cromwell e Cyril, come musicista o come addetto alla parte tecnica. Il sodalizio con la cantante Melanie Mau lo porta ad un secondo album di cover e così, dopo “Gray matters” del 2015 è ora la volta di “Pieces to remember”. Vi aspettate dei classici del progressive rock? Be’, andando a dare un’occhiata alla track-list si può rimanere un attimo interdetti. Sì, ci sono i Genesis e Peter Gabriel, ma rispettivamente con “Land of confusion” e “Sledgehammer”. Altri nomi legati al mondo del prog? Kansas, Spock’s Beard, Ayreon. Transatlantic, Threshold. Poi ci sono pezzi di artisti A.O.R. o metal (REO Speedwagon, Journey, Nightwish, Judas Priest, Iron Maiden) e qualcosa più vicina al pop-rock (Police, Eagles, Madonna). Siete già scappati inorriditi da una scaletta che può far venire dubbi? Speriamo di no, sarebbe un peccato, perché il disco è bello. Melanie e Martin innanzitutto cantano bene e con le loro voci fanno un lavoro apprezzabilissimo. Non solo, i brani sono riarrangiati in chiave acustica, talvolta quasi stravolti ed il risultato finale è sicuramente di qualità. Ascoltate proprio le citate “Sledgehammer” e “Land of confusion” svuotate di tutti gli effetti e i suoni degli anni ’80 e ridotte a voci, chitarra acustica, basso e percussioni; due gioiellini! A pensarci bene, sono proprio le tracce risalenti a quella decade che beneficiano del trattamento migliore e che si fanno ascoltare con maggiore piacere (“Message in a bottle”, “Be good to yourself”) e la versione di “Like a prayer” di Madonna è davvero sorprendente da questo punto di vista, dimostrando anche come nel pop apparentemente banale di quel periodo si possano nascondere gemme di valore se viste da altre angolazioni. Un discorso simile può essere fatto per i buonissimi adattamenti di due perle metal, “A touch of evil” dei Judas Priest e “Wasted years“ degli Iron Maiden (entrambe con tanto di archi e cornamuse), davvero efficaci anche nel trattamento Mau-Schnella. Buona versione per “Valley of the queens” degli Ayreon, originariamente cantata da Anneke Van Giersbergen, che qui accentua i suoi connotati folk. Delle scelte più vicine al mondo del prog, quella che sembra più riuscita è la ballad “We all need some light” dei Transatlantic, già melodica in origine, colpisce su questo cd per la semplicità dettata da tre voci accompagnate dalla sola chitarra acustica. Qualche momento di stanca, in realtà c’è (non convincono, in particolare, le versioni dei pezzi di Threshold e Spock’s Beard, forse già troppo deboli di base) e bisogna dire che il disco, con i suoi settantasei minuti è un po’ troppo lungo. Eppure alla fine il giudizio non può che essere positivo: per la maggior parte del tempo l’ascolto è davvero molto piacevole, colpisce favorevolmente il trattamento riservato a canzoni molto note e in più le foto di copertina e del bootleg denotano una leggerezza e un’ironia, in un ambiente domestico e familiare, che rende ulteriormente simpatica questa operazione.
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