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SALIM GHAZI SAEEDI Iconophobic autoprod. 2010 IRAN

Spesso cogliamo del mondo che ci circonda solo gli aspetti negativi, sempre pronti a criticare ciò che non capiamo o è lontano dalla nostra quotidianità, affidando il nostro giudizio superficiale a quanto emerge dalle pagine della cronaca ma ci dimentichiamo che quanto vi è più bello e profondo nell’animo umano riesce a superare ogni confine e riesce a raggiungere i cuori delle persone distanti al di là di ogni preconcetto culturale o ideologico. E’ così che il seme del progressive rock raggiunge i luoghi più remoti del pianeta e quando si parla il linguaggio della musica tutto riesce più facile e siamo in grado di comprenderci senza bisogno di usare le parole, annientando all’istante ogni differenza o ogni barriera che ci separa dall’altro. Salim Ghazi Saeedi è un ragazzo di Teheran, di quella Teheran che vediamo solo attraverso i film di Jafar Panahi o Bahman Ghobadi, leggiamo attraverso la cronaca nera delle rivoluzioni studentesche o attraverso varie altre storie di intolleranza, una terra troppo isolata per essere compresa da noi ma che è fatta da persone che hanno i nostri stessi sentimenti ed i nostri stessi ideali di libertà e bellezza. Questo album è stato realizzato con mezzi poveri, fra quattro mura domestiche. Tutta la musica è stata composta, interpretata e registrata da Salim che suona chitarra elettrica e tastiere e in più cura tutti gli effetti elettronici e anche le trame ritmiche. In realtà non si tratta della sua prima esperienza discografica, visto che questo ragazzo ha alle spalle ben tre album, usciti a nome della sua prima band, gli Arashk, anche se gli ultimi due sono in pratica dei veri e propri dischi solisti. Salim ama definire la propria musica “progressive” perché il suo modo di ascoltare e comporre musica è libero e coniuga stili molto distanti fra loro: “lascia la tua mente libera ed essa diverrà progressive”, scrive egli stesso sul suo sito internet. E direi che questo modo di pensare mi piace molto e si riflette perfettamente nella sua musica che non conosce barriere né ostacoli di alcun tipo. “Iconophobic” è un concept album che parla della paura morbosa verso le immagini e di conseguenza verso la realtà. Il concept si sviluppa attraverso tredici brevi visioni musicali, senza parti cantate. Ma per entrare meglio in sintonia con questo concetto l’autore ha inserito all’interno della copertina del CD un cerchio di parole che recita: "Alas that man was free... When there was no image. Alas that image became a means... for altering the reality. Alas that reality... is itself, an imagery by man." Salim vuole così creare una serie di immagini mentali e bisogna dire che, nonostante l’approccio non sempre lineare, la musica riesce a dipingere perfettamente degli stati d’animo, a volte inquietanti, a volte drammatici, altre volte struggenti. La musica, nonostante la povertà della strumentazione impiegata, ha un approccio molto cameristico ma con delle incursioni sofisticate ed elettroniche. Ascoltate ad esempio “Give My Childhood Back”, un bolero enigmatico e tetro, in cui sembra di sentire dei veri e propri strumenti d’orchestra, con gli archi e strumenti a fiato, il tutto con una base tecnologica e qualche vago accenno orientaleggiante. Ditemi se “Eternal Melancholy of Loving Woman” non è struggente e seducente, con il piano minimale che si intreccia agli archi. In generale tutta la musica ha un approccio minimale e low-fi ma possiamo comunque apprezzare le doti di scrittura di Salim e la sua grande fantasia nel creare immagini sonore e nel fondere stili distanti che si collocano a metà strada fra oriente ed occidente. Vi sono poi pezzi in cui la chitarra elettrica ha un ruolo preponderante ma questa viene comunque sempre inserita in un certo contesto musicale ed utilizzata soprattutto per elaborare frasi melodiche all’interno del tessuto sonoro. L’opera di Salim è decisamente originale e meritevole di essere presa in considerazione al di là dei suoi limiti tecnici e non posso fare a meno di domandarmi cosa mai ne verrebbe fuori se fosse affidata ad una orchestra vera e propria, con l’ausilio di mezzi superiori. Promuovo appieno questo album, nonostante la sua realizzazione decisamente casalinga, e mi auguro che la musica di Salim possa un giorno volare alta, in una versione professionale, grazie magari a qualche collaborazione internazionale.


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Jessica Attene

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