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SBB Za linią horyzontu Polskie Radio 2016 POL

Dove eravamo rimasti? L’ultimo album in studio degli SBB era stato realizzato in duo, dai componenti storici della band che per tanti anni hanno continuato a portare avanti il nome, Jozef Skrzek (basso, tastiere, voce) e Apostolis Antimos (chitarra, batteria). Da allora, però, c’è stata una gustosa novità. Stiamo parlando del rientro in formazione dello storico drummer, Jerzy Piotrowski, che, dopo aver affiancato i due vecchi compagni in sede live, ritroviamo ora a riprendere il suo posto dietro le pelli anche per la nuova incisione in studio. Nonostante il buonissimo lavoro di Antimos sul precedente omonimo disco alla batteria, il rientro di Piotrowski poteva avere solo un effetto ulteriormente rigenerante. Stiamo parlando, infatti, di un musicista dalla classe eccelsa ed il suo tocco si avverte chiaramente in questa nuova proposta, in cui troviamo un sound più corposo e dei flussi ritmici che riportano chiaramente alle opere degli anni ’70. Gli effetti di questo reintegro sono molteplici. Basta poco, innanzitutto, per capire che l’alchimia tra i tre non si è mai spenta e che tanti anni di distacco non sembrano essere passati, visto che è forte e chiaro quanto coesa sia la band. Inoltre, viene garantito un certo tasso tecnico e l’ossatura ritmica del sound proposto si fa sicuramente più solida rispetto al recente passato. In alcuni pezzi è addirittura evidente la voglia di ritornare al sound che avevano creato nei seventies, con risultati anche eccellenti. Non tutto è perfetto, ma il recupero della formazione storica sembra aver fortemente giovato agli SBB.
La dimostrazione la si nota subito con le prime due tracce del nuovo album “Za linią horyzontu”. Stiamo parlando, infatti, di due bei pezzi di quattro e cinque minuti che mettono subito in evidenza quella solidità di cui parlavamo: “Odwieczni wojownicy” e “Najwyzsy czas” si caratterizzano per ritmi robusti ed una compattezza che rimanda un po’ ai momenti migliori e più energici di “The rock”. I soliti duetti magistrali tra le tastiere di Skrzek e la chitarra di Antimos fanno il resto. Discorso simile può essere fatto per la title-track. “Goris”, invece, gioca più sulle sensazioni, attraverso una ritmica accattivante che favorisce intriganti spunti solistici, con Skrzek che si diverte in parti vocali scat. Questo modo di cantare è utilizzato anche in “Pacific”, il momento forse più debole del disco, che rimanda vagamente a certa leggerezza di “Iron curtain”. Va meglio con “Zielony, niebieski, zolty” che sembra il seguito di “Pacific”, ma con i musicisti che vanno alla ricerca di una musica sognante e atmosferica, creando un piccolo momento di pacatezza e tranquillità. Queste due canzoni sono quelle che lasciano qualche perplessità, vista la loro eccessiva vena melodica che a volte sembra abbandonarsi a troppa sdolcinatezza. E il consumo eccessivo di zucchero, si sa, può dare fastidio…
Abbiamo lasciato per ultimo due composizioni assolutamente spettacolari, quelle che in pratica da sole valgono l’acquisto del cd. “360 do tylu” è uno strumentale di sette minuti che viene ripescato dagli anni ’70 (è proposto anche in una versione dal vivo nel recente cd live con Michal Urbaniak). Era già presente in una versione più estesa, registrata nel 1975, sul cd “Impresje”, il primo dei nove contenuti nel cofanetto “Lost tapes, Vol. 1”. E’ un vero e proprio tuffo nel passato (stiamo parlando del periodo di “Nowy horyzont”), in quegli impasti sonori che erano in grado di sfornare gli SBB, tra prog sinfonico, lontane tentazioni blues, ondate space-rock e sonorità calde. Dell’originale, viene in pratica recuperata la parte finale e le differenze principali, oltre alla durata, risiedono anche nei timbri che sono oggi molto più puliti, ma la piacevolezza di ascolto di una composizione di questo tipo resta enorme.
Il meglio, però, è riservato alla fine, con gli SBB che tornano a cimentarsi in quello che sanno fare meglio: una bella suite di quindici minuti e mezzo, intitolata “Suita nr 9”. Ritmi martellanti ed una serie di evoluzioni e di incroci tra tastiere e chitarra in questa composizione che non esito ad indicare come la più bella realizzata dagli SBB dal ritorno sulle scene nei primi anni ‘90 ad oggi. Un vero e proprio tuffo nel passato, ma con piglio moderno, grande dinamismo e magistrale coesione. Inizio vibrante, con ritmi spediti, effetti spaziali ed una chitarra elettrica acida. Ma in breve si spinge verso un rock sinfonico personale e di qualità, dagli sviluppi imprevedibili ed in cui non mancano i consueti intrecci e le fughe di chitarra e tastiere. I break con variazioni di tempo e di atmosfera non si contano e permettono ai musicisti di far viaggiare i loro strumenti con effetti dirompenti e facendo riaffiorare pienamente il fascino delle lunghe composizioni che proponevano nei loro anni migliori, fino alla magistrale conclusione affidata ad un pianoforte classicheggiante.
E’ la chiusura perfetta di un album che, come accennavamo, non manca di qualche difettuccio, ma che nel complesso mostra un gruppo in gran forma. Se la gioca col precedente per la palma di miglior lavoro dai tempi di “Memento z banalym tryptikiem”.


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Peppe Di Spirito

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