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SALIM GHAZI SAEEDI namoWoman autoprod. 2012 IRAN

Puntuale come un orologio svizzero! Anche a fine 2012 come ogni fine anno, Salim Ghazi Saeedi pubblica un album: “namoWoman”. Il terzo da solista in tre anni. Salim aveva precedentemente pubblicato altri quattro album come Arashk, il suo vecchio gruppo ormai sciolto. Per chi non lo conoscesse, Salim è un personaggio particolare e unico all’interno del panorama prog mondiale: è un chitarrista e musicista iraniano tuttofare che, da quando ha iniziato la sua carriera solista, si occupa di comporre e produrre i suo album ma anche di suonare ogni strumento. Altresì interessante la sua carriera che, seppur relativamente breve, è stata sempre in frenetica evoluzione. Partendo con riferimenti ai Nirvana e Metallica, è arrivato a suonare album che ricordano Univers Zero e X-Legged Sally. Attendevo quindi con grossa curiosità questa nuova prova da parte di Salim, verso il quale non nascondo una certa simpatia. Ciò che mi rendeva "impaziente" era sia la provenienza geografica di questo artista, sia le difficoltà che questi incontra nel fare musica, quella musica che è ciò che Salim ama maggiormente.
Noto subito, prima ancora di metterlo nel lettore, che è un disco palindromo! A partire dal titolo, per proseguire poi con tutte le tracce che, se concatenate in unica stringa, sono anch’esse palindrome. Partendo dalla prima traccia, “namoW”, da perfetto campione di Ruzzle, decompone la parola utilizzando sempre le stesse lettere fino ad arrivare alla penultima traccia, “man”, e all’ultima traccia, “Woman”. È palese quindi che anche quest’album, come i precedenti, è un concept. Dopo aver affrontato le proprie paure in “Iconophobic”, le persone che lo circondano in “Human Encounters”, ora è la volta di affrontare li proprio rapporto con l’altro sesso e la dicotomia uomo donna.
Basta, ancor prima di ascoltarlo, osservare la copertina dell'album per capire che non sarà un percorso semplice: vi è rappresentata “La Medusa” di Caravaggio che è un’immagine forte. Metafora della castrazione e della privazione che, assieme alla destrutturazione e ricostruzione della parola Woman, è premonitore del tortuosità della strada che ci attende.
Apriamo la custodia e infiliamo il disco nel lettore. Inizia l’album e notiamo subito con piacere che la produzione e le sonorità sono molto meno amatoriali che nei dischi precedenti. Salim sembra padroneggiare la situazione e il risultato finale è più che soddisfacente. Analizzando la musica notiamo che è molto più incentrata sulla chitarra, dando l’apparente impressione di un ritorno alle sonorità più metal propria dei dischi con gli Arashk. Tuttavia Salim non è più lo stesso musicista di qualche anno prima: è cresciuto enormemente e, pur ritornando in certi contesti, lo fa con una consapevolezza e una profondità musicale maggiori. Non ama certo le soluzioni più lineari e spesso, per esprimere i suoi concetti musicali, passa attraverso l’utilizzo di arzigogoli. Fa ampio uso dei microtoni, tipici della tradizione musicale persiana, riuscendo ad amalgamarli perfettamente nella sua musica in modo tale da non appesantirla, ma caricandola di fascino esotico.
Coloro che conoscono i precedenti album sanno già che il musicista iraniano predilige canzoni brevi che non superano i quattro o cinque minuti e non è “namoWoman” a fare da eccezione. Tuttavia in questo album le canzoni sono fortemente legate l'una l’altra ed hanno una continuità compositiva tale da poterle considerare come un’unica grande suite. Inoltre, rispetto ai precedenti album, la musica di Salim acquisisce maggiore concretezza. Siamo al settimo ed era quasi normale attenderselo! Nel disco sembra aver perso parte di quel candore musicale e quell’ingenua spericolatezza che normalmente lo caratterizza. È più consapevole dei propri mezzi e ha maggiormente a fuoco il suo obiettivo, ma le sue capacità espressive, ancora una volta, ci lasciano la sensazione di non essere del tutto complete. Non possiamo quindi che aspettare e accompagnare Salim nel suo percorso musicale e nella presa di coscienza delle proprie potenzialità. Ciò però non vuol dire che non possiamo goderci e gustare il lavoro fatto in “namoWoman”, sì ancora un po’ acerbo, ma dotato di vere originalità, personalità e genuinità, doti assai rare nelle uscite di oggigiorno. Intanto ricordiamoci di segnare nella nostra agenda l'appuntamento con l'uscita di fine 2013.


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Francesco Inglima

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